Siamo animali sociali, abbiamo bisogno della relazione con gli altri. E, soprattutto per quanto riguarda quelli che consideriamo i nostri amici più cari, o a volte addirittura professionisti dell'ascolto capaci di aiutarci a mettere in ordine il nostro vissuto, a loro abbiamo bisogno di confidare cosa ci accade e cosa ci importa di più, ciò che ci turba e ciò in cui crediamo.
L'espressione per l'uomo è un bisogno primario e lo diventa a maggior ragione quando il pensiero, da solo, non ci basta a trovare il bandolo della matassa delle nostre riflessioni. Abbiamo bisogno della parola, del lògos, di quello strumento che è allo stesso tempo portatore di significato e di ordine.
Raccontarci significa dover trovare un inizio e una fine del discorso, un prima e un dopo, narrativamente, perché l'altro possa capirci. E il fatto di rendere comprensibile all'altro i nostri sentimenti li rende anche un po' più comprensibili a noi stessi. Quando parliamo con l'altro, il nostro obiettivo è non solo parlare, ma anche comunicare. E per arrivare a questo elaboriamo psichicamente i contenuti della nostra coscienza, ovvero inventiamo di volta in volta strategie diverse che mettano in ordine i nostri pensieri nella maniera più lineare possibile. Quante volte dopo una bella chiacchierata con amico abbiamo detto, o ci siamo sentiti dire: «Grazie, ora sto meglio, prima di parlarti neppure io sapevo bene cosa provavo»?
Non sempre ce la facciamo al primo colpo, ma quello è l'obiettivo. Non a caso infatti più grande è il dolore che proviamo per qualcosa, più è facile che ne rimaniamo ammutoliti. Perché ancora non riusciamo ad afferrarlo, cioè a circoscriverlo e quindi esprimerlo.
Ma non c'è solo questo: c'è anche la tensione del pensiero, quella tensione che ci fa stare in ansia finché non buttiamo fuori l'urgente ragionamento che sentiamo di non poter contenere, e che dunque ci sovrasta. Parlare di noi è dunque anche una liberazione, nella misura in cui circoscrivere un evento o un'emozione attraverso una forma espressiva (qui per lo più parliamo di parole, ma il mezzo usato potrebbe essere anche quella figurativo o musicale) ci permette di contenere e spesso controllare questo sentimento, dandogli un ruolo limitato nella nostra esperienza. Che, nella vita di un adulto, è molto più vasta di un singolo evento, per quanto importante e traumatico esso sia.
Parlare di noi stessi dunque, così come accogliere le parole di chi ci sta vicino, può essere considerato alla stregua di una medicina. Liberazione, ordine e contenimento comportano un benessere che non è solo momentaneo, ma spesso anche risolutivo (almeno fino alla prossima volta). Non bisognerebbe mai dimenticarlo.
Cosa aspetti allora a fissare quel famoso incontro che rimandi da tempo con il tuo amico più caro?
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