Quando ero una ragazza, al ginnasio, il mio professore di matematica era severissimo. Era il tipo di insegnante che se scrivevi in modo disordinato un'equazione ti prendeva il quaderno, lo strappava a metà e te lo buttava fuori dalla finestra. A me per fortuna non è mai successo, ma l'ho visto accadere ad alcuni miei compagni. Nonostante la sua severità, da noi alunni era profondamente amato. Perché era un uomo molto giusto, dalla profonda sensibilità, che teneva nascosta sotto alla coltre del suo carattere ruvido e di una materia che noi umanisti a volte faticavamo a comprendere. Il mio professore era un prete: si chiamava don Attilio Agostini. Perché, ebbene sì, al liceo ho studiato dai preti.
Don Agostini era un professore vecchio stampo, come allora - erano gli anni Novanta - ce n'era ancora in giro qualcuno: uno della vecchia guardia, un tipo intransigente, coltissimo, ma comunque rispettoso dei nostri sentimenti e soprattutto rispettoso della cultura, della conoscenza e del suo rigore. Un giorno - avevamo appena terminato la materia in programma per quell'ora - si aprì un po' con noi ragazzi e ci raccontò di una delle sue grandi passioni, il cinema. E ci spiegò che la magia del cinema consisteva nell'interpretazione della realtà, nello svelamento di un punto di vista autoriale.
Ci disse: «La magia del cinema sta nel fatto che un uomo felice, ritratto in un contesto scuro e desolato, vi apparirà malinconico e solo. Quando vedete un'immagine, non dovete mai dimenticare di interpretarla. Perché ogni immagine possiede diversi livelli di verità e la Verità con la V maiuscola, se esiste, magari vi sarà nascosta sotto a diversi strati di interpretazioni che non sono sempre immediate da capire. Quando vedete un'immagine, pensate. E, quando credete di aver capito qualcosa, pensateci ancora una volta. Forse quell'uomo deve apparire triste per una ragione narrativa, e questo è un livello di verità. Ma la verità di quell'uomo, che di fatto interpreta un ruolo, è che mentre viene ripreso è, in effetti, felice».
Praticamente una fine lezione di filosofia e di etica, servita su d'un piatto indimenticabile dal mio burbero professore di matematica, che quando eri troppo disordinato ti strappava i quaderni. Sono sicura che le sue parole abbiano contribuito a indirizzarmi agli studi che avrei intrapreso in seguito.
Ho spesso ripensato alle parole del mio professore, soprattutto ultimamente. Questa è l'epoca dello streaming, della visione in diretta, delle fake news che, mentre ritraggono un soggetto nella sua verità, la spacciano per altro. E molta gente crede che vedere qualcosa significhi trovarsi di fronte alla verità, quando invece non esiste verità senza interpretazione, senza pensiero. «Quando vedete un'immagine, pensate. E, quando credete di aver capito qualcosa, pensateci ancora una volta». Perché vedere qualcosa non significa capirla e non significa trovarsi di fronte alla verità. Vedere qualcosa, anche se accade in diretta e ci sembra che non ci siano filtri tra noi e ed essa, significa avere uno strumento in più per capire: ma non significa capire automaticamente. Anzi, a volte è proprio il contrario, perché la semplicità della visione ci induce a pensare meno e quindi a capire meno.
A volte penso che Internet, che se usato con intelligenza può essere uno strumento meraviglioso, ci abbia resi più inermi. A furia di vedere tutto apparentemente senza filtri, a volte ci capita di essere bombardati contemporaneamente da troppe autoproclamate verità, che spesso discordano tra loro. A furia di vedere tutto, quasi a livello pornografico, ci è tolta la possibilità di capire: non è che non abbiamo dati a sufficienza, è che ne abbiamo troppi, e non sempre disponiamo di quelli giusti: così, piuttosto che far danno, ci riduciamo a non agire; altre volte, proprio perché l'inazione non fa per noi, al contrario agendo alimentiamo il danno, ovvero sosteniamo attivamente ciò che è falso.
Perché guardiamo senza capire.
Questo, nonostante tutto, non è ancora il danno peggiore. Chi alimenta una visione falsa della realtà può ancora ricredersi, può ancora tornare sui propri passi: in fondo, errare humanum est. Il vero danno è abituarsi a guardare il mondo senza porsi il dubbio se quello che vediamo è vero oppure no. Stiamo capendo la realtà? Stiamo scavando troppo a fondo, alimentando una realtà fantastica? O al contrario ci stiamo soffermando a una presunta evidenza che di vero non ha nulla? Bisogna porsi domande, cercare di capire la realtà e agire (o parlare) solo quando si è sicuri che la nostra azione rispecchi una verità consolidata.
Tutto questo mi ha portato alla mente un bellissimo racconto di Franz Kafka (qui potete leggere la sua biografia), che si intitola Due che passano correndo. In questo racconto Kafka mostra esattamente come l'interpretazione della realtà sia fondamentale per agire - e, anche, come l'unica azione possibile sia quella che si fonda sulla verità. Quando le verità possibili sono troppe, e non siamo sicuri di quale partito prendere, la possibilità di agire si sgretola tra le nostre mani. Rimaniamo inermi, anche se siamo spettatori - in diretta! - di un fatto che accade proprio davanti ai nostri occhi.
Ecco il racconto:
«Quando di notte si passeggia per una via e, già visibile da lontano – perché la strada dinanzi a noi è in salita e c’è la luna piena -, un uomo corre verso di noi, noi non lo agguanteremo, anche se è debole e cencioso, anche se qualcuno lo rincorre urlando, bensì lo lasceremo andare.
Perché è notte, e non abbiamo colpa se dinanzi a noi la strada è in salita nella luna piena, e oltre tutto quei due hanno forse inscenato la caccia per loro divertimento, forse entrambi inseguono un terzo, forse il primo viene inseguito pur essendo innocente, forse il secondo vuole uccidere, e noi diverremmo complici dell’assassinio, forse i due non sanno nulla l’uno dell’altro e corrono a letto ciascuno sotto la propria responsabilità, forse sono sonnambuli, forse il primo è armato.
E infine, non abbiamo forse il diritto di essere stanchi, e non abbiamo bevuto tanto vino? Non ci pare vero che anche il secondo sia ormai scomparso dalla vista».
«Quando vedete un'immagine, pensate. E, quando credete di aver capito qualcosa, pensateci ancora una volta», è il monito che risuona ancora nella mia testa. Capire la realtà è difficile, sempre, anche quando ci sembra che sia chiaramente mostrata. Forse sarebbe opportuno che, soprattutto in un'epoca come questa, tornassimo ad allenarci al dubbio. Che è l'unico presupposto capace di indurci a scavare più a fondo, per capire più a fondo e agire secondo una verità possibile.
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Il blog de Il Tuo Biografo ha un debole per Franz Kafka e proprio per questo dai suoi scritti si è fatto ispirare in più di una riflessione. Se vuoi sfogliarle tutte (sono molto, molto diverse tra loro!), clicca qui.
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Al web piace correre veloce, commuoversi e poi passare oltre, per poi tornare a ripetersi senza porsi domande. Del mondo di Internet amo molte cose, ma non questa: e infatti a questo argomento, ma in particolare al fenomeno delle fake news, e della post-verità, ho dedicato alcuni articoli. Se vuoi sfogliarli tutti, clicca qui.
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