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La biografia di Leonardo Sciascia, l'autore che perseguiva la giustizia



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L’8 gennaio del 1921 nasceva lo scrittore Leonardo Sciascia (1921-1989), autore di una vasta e variegata produzione letteraria che spazia dal genere del saggio al giornalismo di denuncia, passando per le pièce teatrali e soprattutto per i romanzi brevi, a metà strada tra il racconto e l’inchiesta. Lo scrittore fu nemico giurato della realtà politica a lui contemporanea, permeata di intrighi e connivenze inconfessabili tra autorità costituite, interessi privati e poteri occulti. Egli combatté le storture della società italiana usando tutte le armi a sua disposizione, tra le quali un breve impegno politico e svariate prese di posizione pubbliche che, suscitando un vespaio di polemiche, denunciavano il degrado del presente preconizzando eventi che, nel futuro, si sarebbero poi realmente verificati. Ma, soprattutto, egli fece sentire la sua voce attraverso i suoi scritti.


Le sue opere, infatti, sono impregnate di un forte valore di denuncia sociale. Esse si collocano nell’ambito del realismo critico, che coniuga l’impegno narrativo con quello politico e civile, dimostrando che la letteratura può essere usata come uno strumento essenziale nell’esercizio della libertà e della giustizia. Nella narrativa di Sciascia la Sicilia, terra in cui sono ambientati prevalentemente i suoi romanzi, diventa una metafora dell'Italia intera; i personaggi dei suoi libri incarnano lo sforzo disperato della ragione che persegue libertà e giustizia, ma che è costretta a soccombere a causa di poteri e complicità che ne cancellano ogni traccia. Lo scrittore sentì dunque che nel contesto italiano, corrotto e degradato, gli sforzi dell’intelletto e del raziocinio non avevano speranza. Eppure, nelle sue opere egli insegnò a non arrendersi, e a persistere nel dire no al male che attanaglia il mondo, e alle menzogne dei poteri manifesti e occulti.


Leonardo Sciascia nacque nel 1921 a Racalmuto, in provincia di Agrigento, da una famiglia della piccola borghesia locale. Era il primo dei tre figli di Genoveffa Martorelli, casalinga proveniente da una famiglia di artigiani, e di Pasquale Sciascia, emigrato negli Stati Uniti e poi tornato, dopo la Grande Guerra, in Sicilia, dove fu impiegato presso le miniere di zolfo della zona. Sciascia trascorse la maggior parte dell'infanzia tra la sartoria dello zio Salvatore e il teatro dello zio Giuseppe, adibito a cinema. Passò molto tempo anche in casa con la madre, una sua sorella maestra elementare e le tre zie paterne. Tuttavia, i suoi compagni di giochi più fedeli furono i libri che riusciva a farsi prestare, e che non bastavano mai a saziare la sua sete inesauribile di lettura. A sei anni iniziò a frequentare la scuola, e da subito affiorò la sua forte passione per la storia, unita all’amore per la scrittura.


Nel 1935 Sciascia si trasferì con la famiglia a Caltanissetta, dove si iscrisse all'Istituto Magistrale IX Maggio. In tale scuola all'epoca insegnavano lo scrittore Vitaliano Brancati, con il quale però non entrò mai in contatto, e Giuseppe Granata. Quest’ultimo lo spinse verso lo studio degli illuministi, facendolo appassionare ancora di più alla letteratura. La guerra civile in Spagna, scoppiata nel 1936, condusse Sciascia a posizioni decisamente antifasciste; si avvicinò così a dei coetanei aderenti al Partito Comunista clandestino e agli ambienti antifascisti cattolici. Nel 1941 superò l’esame per diventare maestro elementare; tuttavia, inizialmente si impiegò come addetto all’ammasso del grano presso il consorzio agrario di Racalmuto. Tale incarico, che ricoprì fino al 1948, gli permise di entrare in contatto con il mondo contadino siciliano.


Nel 1944 sposò Maria Andronico, maestra nella scuola elementare di Racalmuto: dalla loro unione nacquero due figlie, Laura e Anna Maria. Quattro anni dopo, il fratello Giuseppe si suicidò: tale evento lasciò un segno profondo nell’anima dello scrittore. Nel 1949 Sciascia fu nominato maestro della scuola elementare del suo paese, ruolo che ricoprì fino al 1957. Tra la fine dagli anni Quaranta e gli anni Cinquanta la sua attività letteraria si intensificò: il suo esordio avvenne nel 1952 con il libro Favole della dittatura. Nel 1956 fu pubblicato il primo suo libro che suscitò interesse a livello nazionale, Le parrocchie di Regalpietra, che si pone come un'inchiesta documentaria, con una notevole carica di denuncia, sulla vita e sulla storia di un immaginario paese della Sicilia. L'anno successivo lo scrittore fu a Roma, distaccato presso il Ministero della Pubblica Istruzione; tornato in Sicilia, lasciò l'insegnamento e si stabilì con la famiglia a Caltanissetta, impiegandosi presso il patronato scolastico.


Nell’autunno del 1958 vennero dati alle stampe i tre racconti della raccolta Gli zii di Sicilia, La zia d'America, Il quarantotto e La morte di Stalin. Nel 1961 alla raccolta venne aggiunto il racconto L'antimonio, ispirato dalla guerra di Spagna. Nello stesso anno uscì Il giorno della civetta, il romanzo che portò a Sciascia la maggior parte della sua celebrità. In tale opera si delineano con grande forza alcuni tra i tratti più salienti della produzione letteraria dell'autore: l’impegno civile e la denuncia sociale dei mali della Sicilia, in primis la mafia. Il romanzo trae spunto dall'omicidio del sindacalista comunista Miraglia, sul quale indaga il capitano dei carabinieri Bellodi, venuto dal Nord.


Oltre a Il consiglio d'Egitto (1963) che, all'interno della cornice della Palermo settecentesca, propone la vicenda della contraffazione di un documento storico da parte del frate cappellano don Giuseppe Vella, negli anni Sessanta videro la luce alcuni dei romanzi più riusciti dell'autore, come A ciascuno il suo (1966), da cui Elio Petri trasse l’omonimo film nel 1967. L'opera, che ritorna alla struttura del giallo, ha per protagonista il professor Laurana, che indaga su un delitto avvenuto nel suo paese scoprendo connivenze impensabili. L'anno successivo fu quello dell'ottimo Morte dell'Inquisitore, che prende spunto dalla figura dell'eretico siciliano Diego La Martina per presentare un'accorata denuncia degli orrori dell'inquisizione. Nello stesso periodo uscirono i notevoli testi teatrali di Sciascia: L'onorevole e Recitazione della controversia liparitana, ispirato dalla repressione sovietica della Primavera di Praga; del 1970 è la raccolta di saggi La corda pazza, incentrati su temi molto cari all'autore come la Storia e la Memoria. Nel frattempo, Sciascia si trasferì a Palermo, dove avrebbe vissuto per il resto della sua vita, passando però le estati a Racalmuto; nel 1971 si ritirò dal proprio impiego statale.


A partire da Il contesto, breve giallo in cui un ispettore indaga su una serie di omicidi di giudici e si trova così a scoprire le trame che legano i poteri statali, gli interessi privati e le forze dell'opposizione, gli scritti di Sciascia suscitarono polemiche sempre più accese, mentre l'autore si conquistava comunque una fama di intellettuale di rilievo nazionale. Dopo la raccolta di racconti Il mare colore del vino nel 1974, in un clima politicamente teso a causa del referendum nazionale sul divorzio, vide le stampe il brillante romanzo Todo modo, dove la volontà di denuncia si rivolge più direttamente verso il sistema di potere democristiano. Nel 1975 Sciascia scrisse il romanzo La scomparsa di Majorana, dove l’autore avanzava teorie sulla sparizione del celebre fisico nucleare e accademico Ettore Majorana, scomparso in modo misterioso nel 1938, che negli anni successivi sarebbero state avvalorate dalle indagini della magistratura. Nello stesso anno lo scrittore si candidò per le liste del Partito Comunista a Palermo e venne eletto; due anni dopo, però, deluso dall'inefficacia della sua presenza nel consiglio comunale e contrario alla politica del compromesso storico rassegnò le proprie dimissioni. Nel romanzo Candido, ovvero un sogno fatto in Sicilia Sciascia, parafrasando il Candido di Voltaire, ripercorse la delusione generata dal suo rapporto con il Partito Comunista.


Nella cornice dell'emergenza terroristica degli Anni di Piombo, continuò la sua polemica con i comunisti e, in generale, con la classe politica italiana. In occasione del rapimento di Aldo Moro, Sciascia si espresse a favore di una trattativa per la salvezza dello statista, esponendo le proprie riflessioni nel volumetto L'affaire Moro che, uscito nel settembre 1978, suscitò un vespaio di polemiche. Nello stesso periodo Sciascia si impegnò per il mantenimento della certezza del diritto e contro le deformazioni della legislazione speciale contro il terrorismo, come l'uso dei "pentiti". Nel 1979 si ricandidò con il Partito Radicale sia in Europa che alla Camera: eletto, scelse Montecitorio, occupandosi quasi esclusivamente dei lavori della commissione d'inchiesta sul rapimento di Moro. Al termine del mandato lo scrittore lasciò la vita politica nazionale, scegliendo come meta del suo ritiro Parigi, dove si respirava un clima diverso da quello confuso che regnava in Italia alla fine degli anni Settanta.


Il tumore che gli diagnosticarono di lì a poco lo costrinse però a frequenti fermate a Milano, per cure sempre più difficili da sopportare. Lo scrittore, pur malato, continuò a seguire gli eventi della politica e dell’attualità con coscienza vigile e critica, denunciando i caratteri assunti dal potere mafioso negli ultimi anni e i metodi usati per combatterlo, come fece nel famoso articolo I professionisti dell'antimafia, apparso nel Corriere della sera del 10 gennaio 1987. In ultimo, uscirono altri scritti come Porte aperte, del 1987, Il cavaliere e la morte del 1988, e l'ultimo suo libro di rilievo, Una storia semplice, il quale andò in libreria il giorno stesso della sua morte. Leonardo Sciascia morì a Palermo, stroncato dal suo male incurabile, il 20 novembre 1989, all'età di 68 anni.


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