«È men male l'agitarsi nel dubbio,
che il riposar nell'errore»
Alessandro Manzoni
Storia della colonna infame
Storia della colonna infame, da cui è tratta la citazione che introduce questa pagina, è un libro minore, ma di grande importanza storica, stilistica e contenutistica, di Alessandro Manzoni. Considerato uno dei padri della lingua e letteratura italiana, all'autore il blog de Il Tuo Biografo ha dedicato un approfondimento sulla sua vita e le sue opere, che potete leggere cliccando qui. Il testo miliare per cui il Manzoni è più conosciuto è il suo romanzo storico I Promessi Sposi, dolore e delizia di ogni studente italiano, la cui versione definitiva venne pubblicata tra il 1840 e il 1842. Storia della colonna infame doveva inizialmente comparire nel quinto capitolo del quarto tomo dell'opera, e infatti può essere letto nel Fermo e Lucia, che dei Promessi Sposi rappresenta la prima stesura, ultimata nel 1823. Alessandro Manzoni è famoso per essere stato spesso profondamente insoddisfatto delle sue opere, che sottoponeva a continue revisioni e a miglioramenti, anche per diversi anni di seguito. Il testo, ritenuto dallo scrittore una digressione interessante ma troppo ampia per comparire nel romanzo, venne dunque estrapolato da I Promessi Sposi per divenire infine una novella a sé stante.
Argomento dell'operetta, basata su una storia vera e documentata dallo storico secentesco Giuseppe Ripamonti, è l'epidemia di peste che afflisse Milano nel 1630. Nella paura generale del contagio, sospetto e delazione divennero sentimenti comuni nel popolo milanese, tanto che quella che l'autore definisce una volgare donnicciuola venne creduta quando accusò senza fondamento due uomini innocenti, un barbiere e un commissario di sanità, di essere degli untori e di aver facilitato l'espansione dell'epidemia: all'accusa - del tutto infondata - seguì un processo che di lì a qualche mese condannò a morte i due uomini attraverso indicibili torture. A monito del presunto reato venne eretta sulle macerie dell'abitazione del barbiere una colonna infame, che poco meno di centocinquant'anni dopo, nel 1778, venne abbattuta quando in una revisione storica fu accertato che i due uomini erano del tutto innocenti - e perciò vittime di un tragico errore giudiziario causato da un'ondata di paranoica emotività. Tutt'oggi è possibile trovare nel Castello Sforzesco una lapide che ricorda l'orrendo supplizio che i due innocenti dovettero affrontare.
L'incedere del racconto è quello del romanzo d'inchiesta inframmezzato alla riflessione filosofica, in cui l'autore analizza documenti e testimonianze col fine di ricostruire la storia di un processo vergognoso - che assomiglia molto alle gogne mediatiche di oggi - che condannò due uomini innocenti che non avevano alcuna possibilità di difendersi: praticamente un legal thriller in chiave ottocentesca.
La novella, lunga poco più di un centinaio di pagine, affronta il tema dello sviluppo della coscienza collettiva, soggetta a passioni transitorie, a suggestioni illogiche e a superstizioni: un indirizzo, questo, che non risparmia le classi più colte, che pure avrebbero gli strumenti per formarsi un'opinione razionale, arrivando a condizionare negativamente anche l'equo discernimento della giustizia. Allo stesso tempo, il racconto sonda la relazione tra responsabilità personali e collettive e tra facili credenze popolari e l'abuso di potere di chi in situazioni straordinarie ha funzioni di comando. Insomma, Storia della colonna infame è una piccola perla, peraltro capace di indurre a riflessioni oggi particolarmente attuali. Di quest'operetta il critico letterario Carlo Bo scrisse che «è un miracolo di logica del male, di qui il doppio piacere della lettura: in effetti il lettore è chiamato a seguire il giuoco tortuoso, seppure trasparente, delle varie soluzioni e dei tanti passaggi e, nello stesso tempo, a prender atto della logica invincibile della corruzione che porta l'ingiustizia gabellata per opera di giustizia».
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