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Virginia Woolf fu una lucida pensatrice, una studiosa dotata di un finissimo acume che la portò a guadagnarsi un posto rivoluzionario nell'ambito della letteratura moderna: fu romanziera evocativa, saggista e critica letteraria d'avanguardia, e, secondo alcuni, un genio tout court. Virginia amava i libri in ogni loro aspetto: li scriveva, li pubblicava e li recensiva. Lettrice onnivora, vorace e fantasiosa, per lei non esisteva giorno lontano dalla scrittura e dalla lettura.
Chi era questa meravigliosa intellettuale dalla mente diamantina? Ma, soprattutto, come viveva le relazioni, l'amore, l'amicizia? Il blog de Il Tuo Biografo in parte ne ha già parlato, per esempio quando ha raccontato la biografia di Virginia Woolf, che se vuoi leggere troverai cliccando questo link. Molti fra noi già conoscono gli aspetti più truci della sua vita, peraltro innegabili: i lutti, le violenze subite, le crisi depressive, gli spilli nella testa, la sua morte volontaria. Per via di queste esperienze, i posteri hanno spesso ridotto Woolf a un’icona e l’hanno incasellata, etichettata. In questa impietosa catalogazione la troverete alle voci: algida, borghese, depressa, snob, suicida. Virginia fu ben altro, anche grazie alla presenza di alcune persone che ebbe la fortuna di incontrare.
Woolf fu una donna coraggiosissima, forte e, permettetemi di dirlo, passionale. Per avere un'idea più articolata del genio eclettico e vivace che fu, è sufficiente approcciarsi senza troppi pregiudizi alle sue opere più intime, corrive e spontanee, da cui trapelano guizzi di felicità, giornate intrise di fantasia, di passione e piacere: i diari e le lettere. Del suo Diario di una scrittrice, se ricordate, il blog de Il Tuo Biografo ha già parlato in questo articolo, ma oggi vorrei soffermarmi in particolare sugli scritti del suo periodo più fertile dal punto di vista letterario ed emotivo: mi riferisco agli anni in cui nella sua vita entrò preponderante la figura «aristocratica, affascinante e sfuggente di Vita Sackville-West», la pronounced sapphist (ovvero la saffica dichiarata), come Woolf stessa annotò nel suo diario il 19 febbraio 1923.
In questa nota pungente l’eterea scrittrice dimostrava di essere inizialmente scettica nei riguardi della giovane poetessa. Vita era molto distante dal quotidiano di Virginia, popolato da incontri tra intellettuali ma anche da molti timori, paure e incertezze. Le due scrittrici si discostavano per temperamento, che in Virginia appariva chiaramente condizionato da una rigida formazione di stampo vittoriano. Vita al contrario si mostrava al mondo avventurosa e irriverente, al punto che la sua passione per le donne, tempo prima, l’aveva condotta in Francia, in una vera e propria fuga d’amore al fianco di Violet Trefusis, lontano dai rispettivi mariti.
Eppure il pensiero libero e rivoluzionario di Woolf finiva per essere più trasgressivo rispetto all’esplicito atteggiamento di Vita; la quale però, godendo apertamente nel manifestare un comportamento proibito, faceva più scalpore. Qualcosa di questa giovane che amava sfacciatamente le donne provocò in Virginia una fortissima attrazione. Certamente venne sedotta dalla sua fisicità – le lunghe gambe, le mani affusolate, la freschezza di giovane trentenne; non di meno fece breccia in lei la sua aura di nobiltà di stampo elisabettiano che, con un certo sapore esotico, trasudava secoli di tradizioni aristocratiche. A colpire l’intellettuale londinese fu però soprattutto il fatto che Vita fosse contemporaneamente donna, madre ma anche amazzone e che, con una manifesta virilità, sfidasse i tempi sovvertendo le convenzioni.
Vita emanava infatti un’immagine di sessualità non definita né limitata da schemi anatomici, che avrebbe ispirato più avanti la figura di Orlando. Il protagonista dell’omonimo romanzo woolfiano altri non è che Vita stessa nelle vesti di un nobile che, attraversando i secoli, si trasforma da uomo a donna preservando sempre giovinezza, poesia e malia: volti diversi di un’esistenza impossibile da definire entro rigidi schematismi sessuali.
Contemporaneamente, dal punto di vista esistenziale, per Virginia l’incontro con Vita significò la scoperta dell’eros. Le due scrittrici intesserono infatti una relazione che andava ben oltre l’amicizia. Woolf, già quarantenne e sposata da alcuni anni con Leonard, non aveva mai conosciuto il piacere fisico. Vita portò nella sua esistenza lo stupore della scoperta del piacere della sessualità e, con esso, la sua forza vitale. E Vita cosa amava di Virginia? Certamente era affascinata dai modi discreti e trascurati della scrittrice – che si manifestavano in una scarsa attenzione per ornamenti, vestiti e orpelli, e in una certa goffaggine – dietro cui si celava però una sorprendente bellezza spirituale e un prezioso e rarissimo acume intellettuale. Vita si innamorò della sua mente.
Per quanto la natura di inguaribile traditrice di Vita la portò ad avere molteplici altre relazioni, il legame tra le due scrittrici, consumato tra passione, divertimento, nomignoli e lettere intrise di metafore e riferimenti letterari, resistette per oltre quindici anni, trasformandosi in un maturo rapporto di solidarietà, che si rafforzò soprattutto con il sopraggiungere del clima di precarietà della Seconda Guerra Mondiale. Costrette ad una lontananza fisica imposta dalla violenza dei bombardamenti, le due donne si scambiarono proprio in questi anni le loro lettere più intense e profonde: oggi, leggendole in Scrivi sempre a mezzanotte. Lettere d'amore e desiderio, non ci si può che emozionare di fronte a un rapporto amoroso così trasversale, intenso e vero.
Virginia Woolf si diede la morte nel marzo del 1941. Qualche tempo dopo, Vita di lei scrisse: «Quella mente stupenda, quello spirito stupendo… Insisto a credere che avrei potuto salvarla se solo fossi stata sul posto e avessi saputo lo stato mentale in cui stava affondando». Avrebbe potuto l'androgina poetessa salvare la sua «creatura carissima»? Probabilmente no. L'amore a volte non basta o, quantomeno, non può mettere a tacere le voci che ossessionano la mente di chi non sa trovare quiete.
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